I sanculotti trumpiani e la dittatura della minoranza- di Guglielmo Agolino
L’immagine del ‘sanculotto’ trumpiano a torso nudo che, con la bandiera americana in pugno, occupa lo scranno più alto di uno dei due rami del Congresso degli Stati Uniti è solo l’ultima scena del teatro dell’assurdo in cui Trump sta facendo sprofondare la più grande democrazia del pianeta. Uno spettacolo, quello del ‘barricadero’ finto-golpista che conquista il seggio della speaker della Camera, senza precedenti nella storia degli Stati Uniti. Una cartolina che richiama alla mente solo il colpo di Stato spagnolo del 23 febbraio 1981, quando il tenente-colonello Tejero assaltò il Congresso dei deputati, occupando il seggio del Presidente con una pistola in mano.
La cronaca dei fatti ci dice che, nella giornata in cui il Congresso degli Stati Uniti avrebbe dovuto ratificare l’elezione di Joe Biden e Kamala Harris, alcune decine di sostenitori di Donald Trump abbiano fatto irruzione, armati, all’interno del tempio della democrazia americana per impedire al Parlamento di portare a termine una procedura che, nella storia costituzionale americana, è sempre stata adempiuta senza disordini. Per capire la gravità: è come se, con le dovute differenze di sistema, alcune decine di persone, avessero fatto irruzione armata alla Camera dei deputati, nel giorno in cui il Parlamento in seduta comune si riunisce per eleggere il Presidente della Repubblica. Si è trattato di una vera e propria “insurrezione”, come l’ha definita il Presidente eletto Joe Biden, nei confronti delle istituzioni democratiche americane. Un atto di “insubordinazione” nei confronti della Costituzione ed un attacco alla democrazia; una ferita alle regole democratiche che, mi pare, pone sul tavolo almeno due questioni rilevanti e di “sistema”. Entrambe potrebbero partire da questo assunto: quando una piccola, ma “rumorosa” minoranza, non accetta e non condivide il sistema di valori e di regole democratiche poste dalla Costituzione e dalle leggi, essa può trasformarsi in un virus per la democrazia stessa (il fascismo ne fu una prova). La prima delle due questioni può esprimersi con una sorta di ribaltamento di quello che, secondo Alexis de Toqueville, era il principale difetto della democrazia, e cioè la “tirannia della maggioranza”. Non più una maggioranza tiranna, dunque, ma una “dittatura della minoranza”. È un dato, infatti, che uno sparuto gruppo di pasdaran trumpiani sia stato in grado di ritardare il celebrarsi di una procedura democratica consolidata e che, nella sostanza, non era altro che la ratifica del voto di milioni di americani espresso nelle urne il 3 novembre e nell’assemblea dei grandi elettori di dicembre. Ed è sotto gli occhi di tutti come, ancora oggi, Trump non riconosca il risultato elettorale, ampiamente certificato dagli organi competenti, e parli di “elezioni rubate”, continuando ad istigare i propri elettori contro “il sistema”. Quando non sarà più lui il Presidente, e cioè dal 20 gennaio, come si comporterà? Continuerà ad alimentare fake news sul voto, chiedendo ai suoi elettori di non riconoscere Biden come Presidente? Inciterà alla disobbedienza? Saremmo davanti a fatti ancora più gravi, il patto sociale e democratico su cui si fonda l’America unita, potrebbe essere messo a rischio, stropicciato.
La seconda riguarda la crescente insofferenza, anche nei sistemi democratici, nei confronti della stessa democrazia. Quanto vissuto ieri a Capitol Hill, ci mette davanti alle fragilità delle nostre democrazie, non solo di quella americana. Una debolezza che trova il suo punto di massima tensione quando una parte inizia a guardare con una certa insofferenza il rispetto di procedure, prassi e liturgie, che costituiscono, in democrazia, il terreno delle garanzie collettive. Negli Stati Uniti si tratta di Trump che non concede la vittoria a Biden ed impedisce la transizione dei poteri; negando ciò che della democrazia è sostanza, persino etimologica: il potere del popolo. O per dirla come Lincoln a Gettysbrug “governo del popolo, dal popolo, per il popolo”.
In Europa, si tratta di Orban che, col pretesto della pandemia, sospende i poteri del Parlamento ungherese, si tratta della Polonia, col tentativo di ridurre a mero elemento decorativo il potere giudiziario. A queste si aggiungono le c.d. “democrature”, e cioè sistemi formalmente democratici e sostanzialmente autoritari, alle porte dell’Europa: la Bielorussia di Lucashenko (in carica con un’elezione-broglio), la Russia di Putin, la Turchia di Erdogan. Sistemi, quest’ultimi in cui, ancora una volta, solo una minoranza detiene il potere, nella migliore delle ipotesi (ed è un eufemismo!), è soltanto la parodia di una democrazia. In altre parole, il bene più prezioso che abbiamo (e che forse diamo per scontato) è sotto attacco in gran parte del mondo: arretra sotto i colpi dell’autoritarismo e del mancato mutuo riconoscimento di un terreno democratico comune (es. Trump). Il compito è quello di proteggerlo e averne cura, proprio oggi che è sotto stress. Oltre la democrazia c’è il baratro, è la storia a dirlo. E se è vero che la storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa, questa volta, forse, la tragedia è stata evitata (anche se conservo i miei dubbi: ci sono stati quattro morti!), ma la prossima, come andrà?
di Guglielmo Agolino