I Carnevali degli anni Settanta
“Il Carnevale non si contempla e non si recita: si vive in esso”
M. Bachtin
Nati non “ai bordi di periferia” ma alla metà degli anni Sessanta, per un decennio circa i nostri Carnevali furono domestici: ci si riuniva, bambini, in festicciole casalinghe, dove le femminucce venivano travestite da Biancaneve Cenerentola principessina e i maschietti venivamo mascherati da Zorro D’Artagnan torero (ricordo ancora un elegantissimo costume da matador realizzato da mamma: gli eroi della Marvel – Spiderman Superman etc… – non erano ancora di moda).
Poi, alla metà degli anni Settanta, irruppe “U Carnaluvaru ra Strata Nova”. E le cose cambiarono.
Il Carnevale sciclitano da episodio privato divenne festa collettiva. Rito laico. Cittadino.
Ora, non voglio certo esagerare, ma, partendo dall’assioma che stabilisce che Scicli è allo stesso tempo periferia e centro del mondo, si deve qui evidenziare come la nostra città fosse in linea con quanto avveniva in quegli anni nel Continente: citiamo solo alcuni dati:
nel 1969 venivano pubblicate “Le città del mondo” di Vittorini, che è un’ appassionata lode della socialità urbana (e di Scicli…): “‘Come devono essere contenti in questa città!’ esclamò Rosario.‘E’ la più bella città che abbiamo mai vista. Più di Piazza Armerina. Più di Caltagirone. Più di Ragusa, e più di Nicosia, e più di Enna. Forse è la più bella di tutte le città del mondo. E la gente è contenta nelle città che sono belle. E si capisce che sia contenta. Ha belle strade e belle piazze in cui passeggiare, magnifici abbeveratoi per abbeverare le bestie, belle case per tornarvi la sera, e ha tutto il resto che ha, ed è bella gente. Tu dici che dev’essere per l’aria buona, ma più la città è bella e più la gente è bella come se l’aria vi fosse più buona. Figurati in questa città che è la più bella del mondo la bella gente che vi deve abitare. I bei padri che qui devono avere tutti i figli. I bei nonni con la barba bianca che devono avere. E le belle mamme che devono avere. Le sorelle. Le zie. Le cugine. Le mamme…”;
nel 1972 Gaber cantava: “La libertà non è star sopra un albero: libertà è partecipazione”, ovvero esserci, far parte di un tutto;
nel 1973 Calvino pubblicava “Le città invisibili”, altro entusiastico elogio delle relazioni cittadine: “Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni di un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci: sono scambi di parole, di desideri, di ricordi”;
in quegli anni gli storici dell’architettura Argan, Portoghesi, Carandini,… rivalutavano le piazze barocche, luoghi della socialità per eccellenza, e le feste seicentesche (del 1977 è il pioneristico “L’effimero barocco, strutture della festa nella Roma del Seicento” della Carandini, Bulzoni);
nel 1976 a Roma l’architetto Renato Nicolini diventava assessore del sindaco Argan, inventando la cultura dell’”effimero”, che dilagò dalla capitale a tutt’Italia facendo riscoprire i centri urbani e il piacere dello stare insieme;
nel 1977 nasceva il movimento anarco-alternativo-dadaista degli Indiani Metropolitani, il cui motto era “Riprendiamoci la città”…
Insomma, gli anni Settanta furono caratterizzati dalla collettività, dalla socialità, dal vivere la città. Insieme (Mina e Battisti permettendo…)..
E “U Carnaluvari ra Strata Nova”, quindi, intercettava e importava anche a Scicli questa tendenza nazionale.
Furono i giovani (catto-comunisti?) del Carmine a inventarlo, trovando terreno fertile nei grandi (il signor Livia, Cuffaro, don Michele,…) e un’immediata ed entusiastica risposta non solo del quartiere ma di tutta la città: Scicli aspettava proprio il suo Carnevale, perché Scicli è una città naturaliter carnevalesca: pensateci, cos’è il Carnevale se non l’esaltazione della libertà e della spontaneità, il sovvertimento delle regole e dell’ufficialità? E cosa hanno di ufficiale, controriformistico, spagnolesco e rigido le tre feste “religiose” primaverili sciclitane? Ben poco. Si pensi solo alla allegra invasione di cavalli bardati per San Giuseppe e al bastone morto che fiorisce; ai pagghiara, occasione per mangiare insieme ed essere comunità; alle folli scorribande (“pazze di gioia”…) del Cristo Risorto; a una Madonna spadaccina e a cavallo che ribalta (a tempo scaduto) l’inevitabile sconfitta dei cristiani! Eppure, queste feste sono quanto di più vicino alla vera essenza del Cristianesimo, che è la religione della vita e dalla (ri)nascita, perché Dio si fa carne, muore, e rinasce (“se Dio muore è per tre giorni e poi risorge”, Guccini), rompendo così la separazione fra dei e uomini, fra cielo e terra, infrangendo le ferree leggi naturali, ma anche quelle sociali perché “gli ultimi saranno i primi”.
Bene, troviamo questa gioiosità, questo piacere di essere comunità, questa “selvaggeria” e “ruspanteria” (i neologismi sono d’obbligo) nelle foto dei primi Carnevali, in cui intravediamo anche i protagonisti (Franco, Salvatore, Migliorino, Emilio, Santangelo, …) ma pure – come nella parte iniziale di “Nuovo Cinema Paradiso” – certi bambini che ora sono padri di miei alunni diciottenni…
Le foto sono tratte dal sito web di Bartolo Trovato