La facciata della Lipparini. Tra memoria e contemporaneità. L’opinione di Paolo NIfosì.
E’ stato deciso da parte dell’Amministrazione comunale di Scicli di rifare la facciata come era nel Settecento, partendo dalle foto d’epoca del primo Novecento. Saggia decisione che ha suscitato un ampio dibattito, come difficilmente avviene. Se sommiamo i partecipanti ai due concorsi di idee per la facciata e per la rimodulazione del complesso del 1985 e del 2009 e gli ultimi progetti presentati sono circa centrotrenta le proposte di architettura contemporanea. Dopo tanto discutere nella scelta attuale quello che ha pesato molto sono le fotografie d’epoca sulla facciata del Settecento. Quelle foto nella memoria collettiva sono diventate icone forti, icone familiari con le quali è difficile competere. Cosa saggia pertanto la scelta di realizzare la copia del collegio settecentesco. Penso che il rapporto tra contemporaneità e passato in arte e nello specifico in architettura nella cultura europea esiste dal mondo romano in avanti. L’imprinting greco ha condizionato molto la cultura artistica e architettonica romana. Quell’imprinting ha determinato le rinascenze successive, daquella carolingia, a quella ottoniana, per essere rilanciata in modo rilevante dal Rinascimento. Da quel momento il classicismo è stato ripreso nel Seicento ed ancora, come se ciò non bastasse, tra fine Settecento e primo Ottocento il Neoclassicismo ha riproposto l’antico. Solo il Novecento ha determinato, in certo qual modo, una frattura, nel momento in cui sono stati impiegati nuovi materiali, in particolare il cemento armato, il metallo e il vetro. L’architettura dei nuovi materiali nel Novecento ha vinto, con il suo linguaggio cosmopolita e globalizzato. La sua vittoria e la sua capillare diffusione però non ha risolto il rapporto tra architettura storica e architettura dei nuovi materiali nei centri storici. In questo contesto a Scicli un’architettura contemporanea è stata realizzata in Piazza Italia negli anni sessanta del Novecento. Da allora è passato oltre mezzo secolo, ma quell’architettura, nel contesto della piazza, non è riuscita a saldarsi nella percezione di quanti quello spazio hanno vissuto e di quanti,viaggiatori e turisti, in quella piazza sono arrivati per la prima volta. Rilanciare sul contemporaneo, con una nuova architettura, non penso che avrebbe risolto il problema. Da qui la saggia decisione di rifare l’antica facciata, diventata in questi cinquant’anni familiare proprio per le immagini fotografiche che ci sono rimaste. Operazione di retroguardia? Dovremmo, allora considerare anche di retroguardia tutte le fasi storiche, e sono tante, in cui il passato è stato assuntocome modello di riferimento; dovremmo considerare di retroguardia la ricostruzione dei centri storici dopo i terremoti del Novecento (cito la ricostruzione delle città del Friuli) ? L’elenco in cui sarebbero da citare architetti importanti sarebbe molto lungo e non è il caso di farlo.Unprimo risultato, comunque, di questa decisione si è avuto: un ampio e articolato dibattito, in cui moltissimi sono stati e sono protagonisti, con un patrimonio di circa centotrenta progetti che ha visto impegnati almeno trecento progettisti. I tantissimi cittadini che hanno partecipato al dibattito che nella stragrande maggioranza hanno accolto favorevolmente l’ultima proposta (rifare la facciata del Settecento), pochi, prevalentemente addetti ai lavori, sarebbero per una nuova facciata contemporanea. Per tutti questi progetti sarebbe opportuno allestire una mostra con un catalogo che ne possa mantenere la memoria. L’alternativa,per quanto mi riguarda, è lasciare le cose come stanno. La contemporaneità si è già espressa col progetto realizzato nel 1962.
Paolo Nifosì