Istruzione e istituzioni scolastiche a Scicli dai Borboni al Fascismo
Anche quest’anno, nei giorni di sabato 29 e domenica 30 settembre, saranno celebrate le giornate europee del patrimonio. L’Italia partecipa all’appuntamento con lo slogan “L’Italia tesoro d’Europa”, volendo così sottolineare l’importanza che assume il patrimonio culturale per l’intera comunità, sia essa nazionale che locale. “Tesoro” inteso non solo come patrimonio da difendere e valorizzare, ma anche come storia e identità culturale di una comunità, valore economico capace di conciliare il mondo della cultura con quello dell’economia, in grado di contribuire, anche, al rilancio dell’economia del Paese in un momento di crisi.
L’archivio Storico dell’Opera Pia Carpentieri, recentemente riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Mibac) tra i beni di interesse storico particolarmente importante, organizza, assieme al Museo del Costume di Scicli, una mostra sull’istruzione e le istituzioni scolastiche presenti a Scicli dal periodo borbonico, esattamente dal 1777, sino agli anni ’30 del secolo scorso. Sono le carte dell’archivio dell’Opera Pia Carpentieri, ordinato e diretto da Giovanna Giallongo, a rivelare una ricca parte inedita della storia di alcune istituzioni scolastiche di Scicli. Contemporaneamente vengono svelate una serie di microstorie che impreziosiscono questo paziente lavoro di ricomposizione. Affiorano, così, storie di donne venute a Scicli per insegnare, alcune giunte da molto lontano, come Mondovì o Rovigo, altre provenienti dalle più vicine città di Palermo, Noto, Avola, Modica. Storie che si intersecano con la quotidianità e il bigottismo di un paese di confine estremo, e dove vita e sogni, desiderio di cambiamento ma anche nuovi metodi didattici vanno ad infrangersi contro il rigido e miope conformismo delle autorità locali. Cadono, così, nel vuoto le ripetute richieste di semplici, essenziali, quanto poveri strumenti didattici, quaderni e lavagne ma anche matite e calamai, che la direttrice e la maestra inviano all’amministrazione, senza riceverne mai risposta. È una società che non riesce ancora a svegliarsi dal lungo torpore in cui era stata tenuta durante il lungo periodo borbonico. La scuola è non solo imbavagliata, come scrive lo storico Francesco Renda nella sua Storia della Sicilia dal 1860 al 1970 (Sellerio editore, Palermo, 1999), ma è anche mantenuta priva di risorse. Alla fine del periodo borbonico 89 siciliani su 100 non sapevano né leggere né scrivere. Molti tra quelli considerati “alfabetizzati” solo in parte riuscivano a parlare e a scrivere in italiano. La lotta all’analfabetismo sarà lunga e difficile. A distanza di quarant’anni, infatti, l’analfabetismo diminuirà, in Sicilia, di soli 18 punti percentuali. La lunga sequenza di avvenimenti che condurrà l’istruzione dai confini borbonici ed ecclesiastici fino all’esasperazione del concetto di patria e di Stato nel periodo fascista, si sviluppa intorno a povere vicende umane, apparentemente scomparse, sommerse da quell’enorme sedimento che è il trascorrere del tempo. Di queste vicende, alcune rivelano un profondo disagio culturale, altre sono testimonianza di uno scontento quasi pernicioso, un mal di vivere in grado di avvelenare le già fragili relazioni esistenti. È il caso di quel maestro che scrive una lettera a Sua Maestà il Re perché gli venga riconosciuto il ruolo di direttore nella scuola in cui da anni insegnava, a torto assegnato ad un altro maestro, un certo Antonino Arrabito, si legge nella lettera, moncherino, di nessuna cultura, senza studi regolari, e bene stante per giunta. Ma non si ferma qui e, così, il nostro suddito fedelissimo conclude di essere disposto a reggere quell’incarico anche mantenendo lo stesso stipendio. La storia di Amalia Martinez, giovane maestrina di Avola e da poco più di un anno all’Istituto, si intreccia, invece, con quella di un dottore “palermitano”, in servizio a Scicli. Gridano allo scandalo i puritani dell’epoca, al punto da costringere Amalia a lasciare quel posto di lavoro, faticosamente guadagnato con un concorso annunciato sul Giornale di Sicilia. Laura Lombardo era, invece, la direttrice dell’Istituto: appena 27 anni, proveniente da Noto, anche lei assunta con un concorso diffuso sulle pagine del Giornale di Sicilia. Le sue lettere ci restituiscono l’immagine di una donna giovane, ma austera, fortemente legata alla sua missione, lei diplomatasi a Napoli con il titolo di maestra giardiniera, necessario, allora, per poter accedere ai concorsi di maestra presso i cosiddetti giardini d’infanzia. A distanza di più un secolo, quella donna rimarrà ancora un esempio di dignità mai dismessa, anche quando sarà vittima di un tentativo, mal riuscito, di avvelenamento, consumato tra le mura dell’Istituto. Si succedono quelle microstorie con altri nomi, altre vicende, fino ad arrivare alle più recenti in epoca fascista. Fanno breccia alcuni nomi di maestri, questa volta anche di Scicli: il maestro Adolfo Cannizzaro, la maestra Nunziatina Sartorio, in servizio negli anni ’20 presso la scuola rurale in contrada Ciarciolo, la direttrice Maria Rosa Bellassai, la quale rimarrà a dirigere l’Istituto per un lungo periodo, dal 1915 fino al 1938. Non meno importanti né privi di interesse sono, poi, i nomi delle maestre che partecipavano ai concorsi, anche se, alla fine, non risultavano vincitrici. La maestra Graziella Bonajuto, da Catania, fu una di queste. Lei aveva elaborato un metodo educativo del tutto personale ed originale, consistente nello stimolare l’apprendimento della lettura con attività di gruppo: dopo aver assegnato ad ogni bimbo una lettera dell’alfabeto, invitava, poi, i piccoli alunni a disporsi in maniera da combinare insieme parole di significato compiuto. A corredo della mostra sono presenti immagini fotografiche che costituiscono un prezioso contributo alla ricostruzione storica di quel lontano periodo. L’iniziativa dell’Archivio Storico dell’Opera Pia Carpentieri e del Museo del Costume, fa parte di un progetto più ampio che prevede altri appuntamenti, tra cui anche una mostra di immagini sulla scuola a Scicli fino agli anni ’60. La mostra è inserita nel programma nazionale delle Giornate del Patrimonio Europeo, e si avvale del patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Mibac) e della Rete Museale della Cultura Iblea; fa da sponsor l’Antica Dolceria Bonajuto di Modica. L’esposizione sarà inaugurata sabato 29 settembre alle ore 18.30 e resterà aperta fino al 30 ottobre 2012.
Nella foto, la maestra Graziella Bonajuto con gli alunni durante una dimostrazione del suo metodo didattico.